Il concetto di continuità aziendale nel nuovo codice della crisi d'impresa

23 ottobre 2019

Il concetto di continuità aziendale. Le inefficienze erodono il reddito operativo e la liquidità. Codice della crisi d’impresa: un errore circoscriverlo alla “fase patologica”.

Con l’imminente entrata a regime delle disposizioni del Codice della crisi d’impresa, anticipata dall’introduzione di nuove disposizioni del diritto societario, tutte le imprese devono modificare il loro approccio alla gestione dei rischi aziendali e prestare attenzione alla fisiologica esistenza di sintomi della crisi. Il rischio, però, potrà essere rappresentato da due diverse situazioni: sottovalutare la portata del Codice della crisi d’impresa e attuare in modo inadeguato i nuovi strumenti di ristrutturazione previsti dall’ordinamento.

Come nella medicina il medico deve avere una buona conoscenza e attenzione alla fisiologia umana prima di curare il paziente, così con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza tutti i professionisti (e in generale i protagonisti) dell’impresa devono abituarsi a (tornare ad) osservare i segnali di un corpo (quello aziendale) sano e non malato. Siamo in presenza, per così dire, di un salto culturale: dalla medicina che cura la malattia, alla medicina che ne previene i sintomi.

con l’introduzione del nuovo Codice, nel nostro sistema economico sono state introdotte disposizione che impongono un significativo diverso e nuovo approccio (delle imprese e degli imprenditori) ai rischi aziendali e alla tutela della continuità del business.

Il nostro legislatore, infatti, attraverso le nuove disposizioni che modificano gli aspetti di diritto societario ha così accentuato e obbligato gli operatori economici (tutti) ad un diverso modo di concepire il business.

La modifica degli assetti societari (ma in verità di tutti gli enti collettivi) è finalizzata a predisporre un sistema e una cultura che realizzi l’obiettivo prioritario del Codice, ovvero quello di permettere l’emersione anticipata della crisi, per sostenere e avviare il prima possibile soluzioni di risanamento quando l’impresa è ancora in grado di risanarsi e prima, cioè, che essa diventi irrimediabilmente insolvente. “La crisi viene così collocata all’interno del più ampio sistema di gestione e controllo dei rischi, che costituisce oggi il perno della gestione e delle strategie dell’impresa”.

Cambiano gli stadi di salute dell’impresa

I nuovi concetti dettati dal Codice sono Stato di crisi[i] e Stato d’insolvenza[ii]

Tali concetti si devono intendere aggiuntivi della fase di normale gestione dell’impresa, che deve intendersi come la situazione di continuità aziendale garantita da elementi di normalità e stabilità degli equilibri aziendali.

Il vero focus è la continuità aziendale e il suo costante monitoraggio

L’art. 2086 c.c. diventa il perno della corretta gestione dell’impresa insieme ad altre due norme fondamentali contenute, però, non nello statuto ordinario dell’imprenditore (ovvero il Codice civile) ma nel Codice della crisi[iii].

Il nuovo comma 2 dell’art. 2086 c.c.:

L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale.

Un corretto assetto organizzativo, attuato in una normale gestione dell’impresa prevede tre presupposti:

1) l’esistenza di un’organizzazione adeguata alla dimensione dell’impresa atta a rilevare tempestivamente i segnali:

a) della perdita della continuità aziendale e

b) della crisi dell’impresa;

2) quindi un sistema di monitoraggio della tutela della continuità aziendale;

3) e in caso di esistenza di fondati rischi di perdita della continuità aziendale o peggio di incipiente crisi, la capacità di reagire e attuare lo strumento più idoneo, previsto dall’ordinamento, per il recupero degli equilibri aziendali.

Prevenzione, monitoraggio, intervento sono le parole chiave.

Dunque, dal 16 marzo 2019 tutte le imprese (non solo quelle dotate di organo di controllo) devo adottare un adeguato piano di prevenzione dei rischi da continuità aziendale e devono introdurre un protocollo di procedure (ancorché minime e adattate alla dimensione) atte a monitorare periodicamente tali rischi affinchè non possa essere perduta la continuità aziendale e siano monitorati gli indicatori e gli indici che possono fare presumere l’avanzare dell’insolvenza. Le responsabilità degli amministratori e dei controllori sono evidentemente elevate.

In questo scenario, il bilancio non può essere l’unico metro di valutazione oggettivo e utile per condurre l’azienda in un futuro esente da crisi perché contiene dati riferiti al passato che non ha di fatto nessuna possibilità di far interpretare il futuro.

L’altro presidio richiesto dall’articolo 2086 comma due del codice civile è quello della continuità aziendale: in senso economico è un concetto anglosassone ed è definita going concern cioè l’essere sicuri di compiere delle azioni che garantiscono un futuro migliore all’azienda.

Quando non si compiono azioni che migliorano il futuro dell’azienda si sta perdendo la continuità aziendale.

Vediamo alcuni esempi in cui un in presenza di un solido equilibrio finanziario ed economico, l’azienda presenta una perdita di continuità aziendale attraverso il riscontro di fondati indizi di crisi che un adeguato assetto organizzativo amministrativo e contabile dovrebbe intercettare per lasciare immuni da responsabilità gli amministratori:

  • clima aziendale ostile e non collaborativo;
  • liti fra soci o fra amministratori che impediscono all’azienda di operare correttamente;
  • feedback negativi relativi alla soddisfazione dei clienti;
  • scarsa innovazione;
  • scarsa attività di formazione;
  • perdita di quote di mercato;
  • fatturato costituito in gran parte dalla vendita di prodotti e servizi in fase di decadimento.

Si tratta di situazioni che condurranno alla creazione di inefficienze le quali eroderanno il reddito operativo e la liquidità e questo farà salire l’indebitamento che in caso di mancato ripristino della redditività operativa porteranno alla formazione di perdite di esercizio.

E’ evidente che l’assetto organizzativo adeguato e rispondente alle disposizioni del secondo comma dell’articolo 2086 deve poter permettere di misurare la costante permanenza in azienda della continuità aziendale.

Nell’ambito degli studi compiuti in economia aziendale, esiste un solo strumento validato scientificamente è usato universalmente nella gestione e controllo delle aziende e opponibile anche in tribunale, capace di misurare la continuità aziendale e di presidiare l’insorgenza di indizi di crisi: si tratta della balance scorecard ovvero uno strumento che non misura i numeri di bilancio (analisi ex post) ma le azioni che li determinano (analisi ex ante o in fieri).

Ne consegue che un’azienda i cui amministratori decidano — con apposita delibera del Cda adottata per la soluzione delle problematiche la società alle nuove disposizioni del 2086 secondo comma — di implementare nel sistema di controllo interno una balance scorecard per la guida e il controllo dell’azienda sicuramente riuscirà a monitorare la continuità aziendale e a intercettare prontamente gli inidizi di crisi.

L’adozione della balance scorecard o di procedure di controllo ad esso ispirati appaiono la strategia più idonea a rispondere alle prescrizioni del 2086 comma secondo.

Tali strumenti diventano di fatto utili ed anche indispensabili per proteggere gli amministratori e di conseguenza anche i revisori dalla responsabilità personale rispetto alle obbligazioni sociali contratte dalla società.

Prevenire è meglio che curare.

 

 

Dott. Stefano Guidi

 

 

Per qualsiasi altra informazione vi invitiamo a rivolgervi allo studio Rogai & Partners

www.studiorogai.it

 

 

 

[i] lo stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore, e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate

[ii] lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni

[iii] Gli art. 3 (doveri del debitore), 13 (indicatori della crisi) e 24 (tempestiva emersione della crisi) dovranno essere tenuti a mente e applicati in stretta correlazione alla disposizione citata (art. 2086) del Codice civile.

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